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Capitolo 4: Il bacio rubato

L’atmosfera era tesa e pesante. Erano presenti mio nonno Giovanni, la sorella di mia madre, zia Onorina, e suo marito, Antonio Rizzo, che lavorava in Germania. Mia nonna Grazia piangeva e singhiozzava forte in un angolo della stanza, sorretta dalla sorella maggiore di mio padre, zia Veneranda. Seduto, a ruminare pensieri e parole sconnesse c’era mio nonno paterno Cármine, affiancato dalle sue figlie, Élida e Anna. Vincenzo, il più giovane dei fratelli di mio padre, era in Venezuela a lavorare come muratore. Antônio era in Brasile, ma da lì non si avevano notizie da molto tempo! Padre Benedetto era già lontano, aveva compiuto la sua missione.

Mia madre era appoggiata allo stipite della porta in cima alle scale, con un’aria smarrita e lontana. Sui gradini, giocando innocentemente, c’erano le mie sorelle, Rachele e Grazia. La conversazione tra i due ha attirato l’attenzione di mia madre, che per un attimo l’ha portata via, vedendosi bambina e spensierata. Guardava con affetto le sue figlie, come se fosse una di loro.

Rachel era carina, calma e rilassata. Aveva i capelli lisci e scuri, le guance rosee. Non sapeva se avevano quel tono naturale o se erano il risultato dei pizzicotti affettuosi che tutti si impegnavano a darle. Mia sorella accettava queste manifestazioni sempre rassegnata, incapace di emettere un pigolio. Dove era posta, rimaneva, concentrata su se stessa o su qualsiasi attività manuale che le capitasse tra le mani. A quel tempo, con 4 o 5 anni, ero già abile nell’uncinetto.

La piccola Grazia, magrissima e bionda, è stata un terremoto! Agile, saltellante, irrequieta, era l’esatto opposto di sua sorella. Aveva sempre bisogno di due paia di occhi su di lei, giorno e notte. È nata senza la presenza di suo padre, non che questo avrebbe fatto una grande differenza, ma ha finito per creare un rapporto paterno con mio nonno Giovanni, che era un uomo raffinato e sensibile, dai modi pacati. Con lui mia sorella si è calmata, si è sforzata di capirlo ed è riuscita ad imparare le prime lettere ei primi numeri, così difficili da assimilare nella scuola delle suore. Viveva malizia, rovesciando lattine, rovesciando il cibo sulla tavola, calpestando i fiori in giardino, scavalcando il mucchio di vestiti bianchi, lavati e stirati, e facendoli cadere per terra. Non era cattiva. Aveva ereditato dal padre un genio malizioso e irrequieto.

Il padre delle tue ragazze… Ricordava il giorno del matrimonio. La cerimonia in chiesa condotta da padre Benedetto, in latino. Il coro, prima cantando una musica sacra pomposa, poi terminando con una melodia leggera, morbida, persino allegra. Il suo sì imbarazzato, espulso da un colpetto nella pancia. Risate in chiesa. L’imbarazzo di voltare le spalle all’altare, percorrere la navata centrale, sorridere alla gente. Le grida di esaltazione alla porta e il corteo che segue gli sposi fino alla piazza centrale, dove ad attendere gli sposi e gli invitati ci sono tavoli improvvisati con il meglio che la bontà del loro cuore vi ha depositato. C’era anche la musica, le belle canzoni napoletane che risollevavano gli animi nonostante i tempi difficili.

Mamma pensò e valutò le sue opzioni. Erano passati 4 anni da quando lei e papa si erano svegliati quella mattina con la decisione presa, la valigia piccola e logora piena, con qualche capo di abbigliamento, una mezza dozzina di piccoli attrezzi, un po’ di formaggio, un po’ di grano, un po’ di dolore e un po’ di speranza. Nulla era certo, come i voti d’amore giovanili, ardenti, volatili, insicuri.

All’interno della casa la temperatura saliva e scendeva mentre mia nonna piangeva e imprecava, incolpando il cielo e la sfortuna. Raggiungerebbe un altissimo picco di dolore e sofferenza e crollerebbe subito dopo, in uno stato di catatonia. Nonno Giovanni si lamentava in silenzio, sapendo di non poter prendere una decisione per sua figlia. Ciascuno deve portare la propria croce. Gli altri mormorarono sommessamente, prepararono il caffè e attesero una soluzione che, qualunque essa fosse, nessuno avrebbe voluto affrontare.

La piccola Grazia saltò sopra la sorellina seduta sul gradino, cadendo addosso alla madre che li osservava da un volo in alto. Prese in braccio la bambina, la quale, con le sue manine sul viso della madre, disse: – Mamma, non piange…

Che dolore! Che ira! Se fosse rimasta, a 23 anni, la sua vita sarebbe stata segnata per sempre nel suo piccolo paese, come le vedove di guerra che non ricevevano i corpi dei loro mariti per seppellire il passato e iniziare una nuova fase della vita. Avrebbe vissuto con l’ombra di un ritorno, isolata, esclusa, come chi soffre di una malattia contagiosa. Se partisse, probabilmente lascerebbe il suo mondo, i suoi parenti, il suo cuore, la sua vita. Avrebbe affrontato la distanza, una terra straniera, che non parlava la sua lingua e non capiva la sua sofferenza, il dolore della separazione. Se rimanessi, le ragazze non avrebbero un padre. Se me ne andassi non avrebbero nonni, zii e zie, cugini e tutti quelli che li hanno amati come fossero propri.

All’epoca, per mantenere le figlie, oltre a lavorare nei campi, seminare, raccogliere, curare gli animali, lavorare in casa, cucire fuori, aiutare la sorella, aveva trovato lavoro per il governo, portando pietre addosso dirigersi verso i lavori di ricostruzione delle strade cittadine. Non avrebbe mai immaginato che questo lavoro di 6 mesi le avrebbe fatto guadagnare una pensione più avanti nella vita, pagata dal governo italiano, più di quanto il governo brasiliano avrebbe pagato per 35 anni di lavoro.

Nel soggiorno, tra le urla e gli ululati strazianti, si discuteva già di documenti, biglietti, valori, preparativi, logistica dei trasporti. Comunicazione con i parenti ivi stabiliti, possibilità di alloggio, rientro o meno. Come quando muore qualcuno ma la vita si impone e va avanti, c’erano voci pratiche e lucide, che cercavano di valutare la situazione dai pro e contro per la madre, le figlie, le più vicine che sarebbero rimaste qui, le perdite e i guadagni. Ci sono stati momenti di accusa, di puntare il dito verso i responsabili di tutto, di quello e del futuro. E, tra le urla, abbracci di scuse, di conforto, di conformazione.

Mia madre ha guardato negli occhi la sua bambina in braccia, nel profondo, e ricordó suo marito, quando uscivano insieme, guardarla, su quella stessa scala, in un modo così intenso e strano, così diverso e urgente. Lui parlava degli suoi sogni e desideri, nella penombra dell’inizio di una calda notte, mentre si avvicinava lentamente, con la bocca parlante e danzante. E poi molto velocemente, alla velocità della luce, la baciò ardentemente. Lo spinse forte, si voltò e corse su per le scale, sbattendo la porta dietro di sé, il cuore che le batteva forte per la vergogna e il piacere. Non ha parlato con mio padre per 3 mesi, ma quel momento ha definito chi era lui, chi era lei.

Improvvisamente, si è svegliata dai suoi sogni ad occhi aperti, è entrata nell saloto e di fronte a tutti quelli che la guardavano attentamente ha detto: – Ho già deciso. Vado in Brasile.

CaMaSa

Capitolo 3: Un nuovo mondo

Padre Benedetto attraversò di corsa la sacrestia, attraversando la navata centrale verso le porte della chiesa. Lampeggiò davanti alle religiose che rimasero con le mani in segno di saluto sospese a mezz’aria, perplesse. Non hanno mai visto il santo prete paffuto correre così veloce! Nemmeno verso un bel piatto di Fusilli accompagnato da un calice di vino… Ecco fatto! E seguirono il reverendo che agitava in aria la sua tonaca nera. Felitto è un piccolo paese, ha lo stesso numero di abitanti, circa duemila, da almeno 1.000 anni. Un prete che corre con una mezza dozzina di mozziconi dietro di sé non passerebbe comunque inosservato. Così, a poco a poco, una carovana in crescita, desiderosa di informazioni, è arrivata alla porta della casa dei miei nonni.

Mio nonno Giovanni aprì la porta e, con grande stupore, vide il prete in cima alle scale, tutto sudato e angosciato, già sorretto dai membri del seguito, che solo si ingrossava. Lo ha invitato e, insieme a lui, sono entrate alcune delle autorità locali già presenti: il sindaco e il deputato, la guardia municipale, il medico, il direttore della scuola, oltre a due zii, tre cugini e sei vicini di casa. La casa era molto umile e piccola, costruita con pietre antiche che c’erano sempre state, composta proprio all’ingresso da un unico ambiente che fungeva da soggiorno, cucina con stufa a legna e sala da pranzo. C’erano anche due camere da letto e un bagno annesso, impegnativo nelle giornate fredde. Concessero qualche minuto al santo padre, che lentamente riprendeva fiato, seduto nella migliore sedia disponibile. Quando ebbe finito il bicchiere di vino offerto, in un sorso, tirò fuori dalla tasca della tonaca una busta e prese il foglio di carta con l’intestazione della diocesi di São Paulo, Brasile. Si guardò intorno, fissò gli occhi su mia madre e cominciò a leggere con tono solenne:

“Al Parroco della città di Felitto, provincia di Salerno, Italia,

Abbiamo ricevuto nella nostra diocesi, presso Igreja Santa Margarida dos Aflitos, nel quartiere di Cachoeira Seca, nella città di São Paulo, una domanda di matrimonio tra Maria Bernarda Auxiliadora Silva, brasiliana, nata ad Amaralândia, MG, e Pasqualino Santangelo, italiano, nato a Felitto, Salerno, Italia.

Vorremmo sapere, a nome del Vostro Reverendo, se c’è qualche impedimento a questo collegamento?

Con molto rispetto…”

Ahhh! Brasile… Brasile…

Quando mio padre si ritrovò adulto, sposato, con una figlia in braccio e un’altra in arrivo, a lavorare nella sua piccola falegnameria, facendo ogni genere di lavoro con il legno che procurava con le proprie mani a chilometri di distanza, in cambio per il cibo e pochi centesimi, senza alcuna prospettiva di miglioramento nei secoli a venire, dopo la distruzione dell’Europa del dopoguerra, si lasciò incantare dalle voci di una vita migliore provenienti dall’America. Molti da lì erano già partiti per diverse parti del pianeta, alcuni tornando alle proprie famiglie con risorse, valori che non si sarebbero raggiunti in una vita in quel luogo. Con l’aumentare della miseria e delle difficoltà, aumentarono anche le lodi dell’opportunità e della ricchezza di terre esotiche e inesplorate dove un solo uomo poteva raggiungere l’indipendenza. C’erano programmi governativi che incoraggiavano i cittadini a intraprendere questa strada, alleviando così l’onere amministrativo di uno stato dilaniato da scelte sbagliate. Uno di questi programmi raggiunse Felitto e portò con sé un manipolo di uomini giovani e coraggiosi disposti a superare la povertà. Tra loro c’era mio padre.

Andarono a Napoli, dove una nave attendeva ormeggiata. C’era così tanta gente in porto, code enormi che si snodavano verso i gradini più bassi della nave, che dava l’impressione che l’Italia sarebbe stata vuota! Gente del Nord e del Sud, molti del Sud, la grande maggioranza del Sud, si stringevano nervosamente, aspettando il proprio turno per imbarcarsi. Molti, come mio padre, non avevano mai lasciato la loro città natale, ma come si suol dire, Il Mondo è Paese, nel senso che non importa quanto tu sia lontano dal tuo paesino, sarà sempre con te.

Così, 17 ore dopo essere arrivato in porto, mio ​​padre era a bordo di una vecchia nave, mal tenuta e corrosa dal tempo e dalla salsedine, con la prua puntata direttamente alla Statua della Libertà di un’America ricca e promettente. Poche ore dopo, con la costa europea già a prua, la nave iniziò a deviare lentamente verso sinistra, in una curva discendente che si concluse solo 15 giorni dopo, nelle acque brasiliane, molto più a sud, più precisamente nel Porto di Santos.

“Dio mio, che bello!” L’impatto di questo paese su un immigrato è travolgente. Erano gli anni ’50, tutto era ancora molto vergine, molto naturale. Il caldo, la brezza marina, il verde e il giallo della vegetazione… Le case non erano pesanti, fatte di pietra, ma di mattoni, i più eleganti intonacati e tinteggiati. Sembravano muoversi con il vento, come le palme da cocco danzanti sulle spiagge di sabbia bianca viste dalla nave prima dell’attracco. Separavano il verde trasparente delle acque del mare, da quello dal tono più forte della vegetazione che scendeva dall’alto dei monti lontani.

Per un momento, sentì di aver fatto la scelta giusta, il suo cuore si espanse in una contentezza senza precedenti. Ampio!

Gli spazi… Tutto era molto spazioso, confortevole. Anche la gente, più affabile, sorridente. Le donne, che belle donne erano! Certo, non per lui, che era sposato, con una figlia di 3 anni e un nascituro. Non per lui, che era appena arrivato e presto si sarebbe diretto verso la città di San Paolo, con un clima un po’ più fresco, molto buono, e non aveva ancora avvertito gli attacchi di solitudine, vuoto, nostalgia che un giorno si sarebbero trasformati in desiderio.

Tutta quella gioia di vivere era per le persone qui, con le loro tonalità della pelle multicolori che vanno dal bianco lunare al nero carbone! Ma questi toni variegati erano estremamente apprezzabili nelle ragazze che passavano per le strade ei viali, spensierate e sorridenti, sempre più invitanti col passare del tempo e il desiderio di compagnia. Dopotutto, a quel tempo l’uomo aveva ancora certe garanzie e il dovere di dimostrare la sua mascolinità. E, pensando così, vinti dalla lontananza, dai giorni, dalle settimane e dai mesi e dagli anni, dal tempo e dalla nostalgia, che allora si era già presentata in una forma ben oltre la nostalgia, ben dolorosa, soccombettero. E lasciati trasportare dai piaceri di un nuovo mondo!

CaMaSa

Capitolo 2: Il matrimonio della madre

Il 23 aprile 1930 Dio portò una forza della natura nel mondo. Raccolse una piccola manciata di elementi abbondanti in tutto il vasto Universo, Carbonio, Idrogeno, Azoto, Calcio, Fosforo e Potassio, aggiunse gocce d’acqua e, dopo 9 mesi di gestazione nel grembo di mia nonna Grazia, presentò al mondo mia madre. La piccola, seconda di quella famiglia, è venuto al mondo a polmoni pieni. Urlava incessantemente, rivaleggiando con i rintocchi delle campane della chiesa principale che, proprio quel giorno, risuonavano nella notte il saluto dei morti, in lode di un cittadino defunto. Tre tocchi acuti: Tééiiiinnn, Tééiiiinnn, Tééiiiinnn…; uno serio, Tóóóuóónnnnn… annunciando al cielo l’arrivo di un’altra anima di Felitto.

Mio nonno Giovanni, uomo colto, lettore dei classici e figura obbligata nel personale amministrativo del comune, registrava lui stesso la sua più giovane con l’espressivo nome Faustina. In quei tempi, di tanta miseria e di un’Italia abbandonata al suo destino nel dopoguerra, dove le funzioni amministrative non garantivano cibo in tavola, lusso e sfarzo solo di nome.

La Prima Grande Guerra aveva infranto l’illusione umana nei centri più ricchi e civilizzati, anche se non potevano immaginare in quel momento l’orrore e la distruzione di massa che la Seconda avrebbe portato. Tuttavia, in quelle regioni sperdute e lontane del Cilento, persistevano le favole e le superstizioni portate dalle ombre della notte e dalle feconde immaginazioni. È così che la piccola Faustina è cresciuta, ascoltando le storie vere confermate dei suoi zii e nonni, nati all’epoca in cui fate e streghe camminavano in mezzo a noi. Tutti lì sapevano che il suo bisnonno materno aveva avuto una vita agiata perché, una volta, quando si imbatté in tre belle ragazze che dormivano nude in riva al fiume, le coprì di paglia, provando compassione per loro, stese lì, punite dal freddo. Erano fate! Improvvisamente si sono svegliati e, riconoscenti, hanno iniziato a chiamare il ragazzo che, spaventato e vergognoso, ha iniziato a correre. Finché uno di loro non gli toccò la spalla e lui, sbilanciato, rotolò giù per un burrone, svegliandosi solo poche ore dopo. Non è mai mancato il cibo in casa sua!

Dal carattere forte e dal cuore estremamente gentile, mia madre correva sempre per gli stretti vicoli di pietra, da una casa all’altra, desiderosa di aiutare gli anziani indeboliti dal tempo e dalla fame, dalla tristezza e dalla solitudine, offrendo una mela, un sorriso, una speranza…

Quando iniziò a frequentare la scuola elementare, l’unica possibile, fu portata a credere in un’Italia fiera e potente, discendente di un impero romano ricco e dominante, capace di costruire un nuovo futuro con ordine e disciplina, amore per la patria, nero magliette e discorsi di grandezza di un piccolo leader, nella statura fisica. A un naufrago non si chiede di preferire il colore della boa, basta che la mantenga sulla linea di superficie.

E tra i sogni di una nazione e la brutale realtà degli uomini, mia madre è arrivata alla seconda guerra mondiale, nel fiore dei suoi nove anni, vivendola cogliendo le cronache che uscivano dalla bocca di chi ci stava dentro e tornò spezzato, di corpo e di anima. Il momento più vicino alla guerra in quella regione fu quando un aereo da combattimento tedesco si schiantò sui campi di ulivi, lasciando solo una bomba disarmata, senza pilota sopravvissuto. Uno zio e due cugini, spinti dall’urgenza della fame, tentarono di smontare il manufatto nella speranza di raccogliere la preziosissima polvere da sparo al suo interno. Sono esplosi con esso attraverso l’aria, avendo i loro corpi raccolti in pezzi per un raggio di 100 metri.

In tempo di guerra, in tempo di pace, la gioventù trova le vie che conducono alle passioni. Innocenti all’inizio, si evolvono in sentimenti travolgenti di quelli capaci di spostare i continenti. Mia madre aveva un certo debole per i deboli e i diseredati e questo, a quel tempo, non mancava. Si è innamorata duramente e intensamente, come fanno tutte le ragazze tra i 9 ei 14 anni. Bastava uno sguardo, una parola dolce, una richiesta di aiuto. C’erano molti Antonio, Francesco e Donato. A tutti rivolgeva pensieri, illusioni e sogni di una vita migliore, con figli, tanti figli e ben pasciuti.

Finché un giorno non si è imbattuta in questo giovane dagli occhi chiari, capelli folti e lo sguardo da attore di cinema, anche se fino ad allora non ci aveva mai messo piede. A pensarci bene, una star del cinema non dovrebbe essere così basso, con le orecchie flosce e una faccia da cane pietoso, ma in qualche modo lui ha acceso in lei una possibilità. Non restava che trovare un modo per avvicinarsi e lei ha trovato una via d’uscita molto creativa. C’era un fosso, un buco nel terreno di 1,50 m, tra un piccolo fienile abbandonato e una stalla per asini, sul sentiero tra la scuola e la sua casa. Il mio futuro padre passava ogni giorno da questo stesso posto per recarsi alla falegnameria dove lavorava come apprendista aiutante. Un caldo pomeriggio d’estate, mia madre lasciò cadere strategicamente uno dei suoi taccuini nel fosso e iniziò a piangere per la sua sfortuna. Mio padre, che era di passaggio, offrì prontamente aiuto. Prima ancora che si chinasse a raccogliere il taccuino, un’infestazione di pulci lo assalì furiosamente, coprendogli le gambe. Mia madre rise mentre mio padre saltava su e giù e si batteva le mani sulle gambe per sbarazzarsi di quei dannati insetti.

Certamente correva molto più veloce di lui, che aveva promesso di ucciderla se l’avesse raggiunta! Ma gli è bastato vederla entrare in casa sua e ha cominciato a girarci sempre più spesso, non per commettere un delitto, ma per iniziare una storia d’amore (?) durata quasi 70 anni. In breve tempo iniziarono a frequentarsi, come allora, con una distanza minima garantita di 3 metri e la compagnia permanente di una madre, un padre, una sorella, una zia, un cugino o quant’altro fosse in grado di impedire più di tanto qualche sembra.

A vederlo così, sembra essere qualcosa di molto romantico e leggero, ma in realtà era un arrangiamento di sopravvivenza. Mio padre cominciò a visitare tutti i giorni la casa dei suoceri, come un ospite a cui viene offerto quel poco che ha e dei panni lavati. Come ricompensa mia madre ebbe il privilegio di tessere di più, cucire di più, lavare, stirare, cucinare e fare tutto quello che già faceva con più intensità. Il suo ragazzo, ora fidanzato e futuro marito, rafforzato e padroneggiato il mestiere, ha aperto un’attività in proprio. Mamma allargò anche i suoi orizzonti, portando sulla testa le assi di legno segate dalla montagna e portate in falegnameria per fabbricare mobili e bare.

La festa nuziale durò 7 giorni e vide invitati tutti i duemila abitanti. Tutti, come sempre, hanno collaborato come hanno potuto, portando uova, latte, grano, carne, olio, vino e frutta… Tutto si è sommato, unito e mescolato, ha sfamato e saziato tutti, che hanno ballato e cantato, augurando agli sposi un felice futuro. Mia madre ci credeva, non immaginando che tra qualche anno avrebbe intrapreso un viaggio di 14 giorni in nave, alla ricerca del marito che l’aveva lasciata con due figlie in braccio, la più piccola delle quali il padre non ha mai visto nascere. Sbarcò nel porto di Santos, in una terra straniera che amava davvero, non con dolci parole dipinte di rose, ma dando il meglio di sé, con sudore, lacrime e sangue.

CaMaSa

Capitolo 1: L’infanzia del padre

Erano tempi difficili, come sono difficili tutti i tempi quando hai solo le tue braccia e una piccola parte di terra per mantenere la tua famiglia. Mio nonno, Carmine come me, era un uomo della terra, tagliato alle fatiche e con una famiglia numerosa. Chissà come i Santangelo siano finiti in quella regione montuosa d’Italia, ma comunque era l’unico lì e ha iniziato la sua eredità.

La parte di terra che gli apparteneva era in un piccolo paese, Felitto, provincia di Salerno, a sud di Napoli, una regione montuosa con minuscoli feudi sparsi alle sue pendici. La parete ovest di uno di questi monti è tagliata dal fiume Calore, formando un tumulo a un terzo della sua altezza, separato da un profondo precipizio a strapiombo. Lì, affacciato sulla vallata, sorse questo borgo costruito dalle abbondanti e immense pietre a disposizione, protetto da strategiche torri di fronte e dalla rupe sullo sfondo. I signori vivevano nei castelli, serviti e nutriti da sudditi che lavoravano la terra nei campi intorno alla città e fornivano protezione ai paesani nei periodi di invasione. Dal Medioevo al periodo tra le due guerre qualcosa è cambiato, ma non abbastanza perché i poveri smettano di essere poveri e perché i ricchi diventino meno ricchi.

Per passione o per mancanza di cultura, i più umili fecero diversi figli, riproducendosi in quantità. Mio nonno ha compiuto sei anni mentre la salute di mia nonna lo ha permesso, tanto che quando è andata incontro alla vita eterna, le ha lasciato una scala di bambini che vanno dai 2 agli 11 anni! Un uomo senza moglie e tanti figli non può sfamare sette bocche e, tra le soluzioni più tristi, scelse di affittarne una, nella speranza che rimanesse del cibo in tavola e che, con un po’ di fortuna, l’avrebbe trovata da qualche altra parte, in famiglia, in un’altra città, in un’altra regione, la fine della sua fame.

Così fu mio padre, il secondo della progenie, dall’alto dei suoi 9 anni, portato di là senza scelta, a prendersi cura dei maiali di coloro che, da quel momento in poi, per sua forza e volontà furono padroni. Il viaggio è lungo, aggirando i piedi della montagna lungo la strada stretta e tortuosa, fatta di carri solo fino alla prima curva. Poi, lontano dai tuoi occhi, a piedi. Alla fine di una giornata di viaggio, esausto, stanco e affamato, è arrivato in questa strana terra, dove un ragazzo impaurito e magro è un po’ al di sopra dei cani, ma molto al di sotto dei maiali. Questi sono davvero importanti, danno carne e profitto, hanno un grande valore. Di notte sono sorvegliati, protetti dalle intemperie e dai predatori, di giorno vengono liberati alla ricerca di un complemento al magro bucato che i loro padroni danno loro. Il ragazzo li affianca giorno e notte, come se uno di loro fosse, senza perdere di vista neanche un minuto, uno dei quaranta che compongono lo staff.

La vita tra maiali e porcili puzzolenti non favorisce lo sviluppo di un bambino. Cibo pessimo, indifferenza e tanto meno abbandono. Ogni casa ha la sua principessa e non c’era differenza. Vivevano il padre, la madre, il nonno e la nonna, i tre bambini brutali, poco più intelligenti di maiali, uno zio e la figlia minore, nel pieno della sua bellezza a quindici anni, con un’altezza di 1,42 m e 137 chili. Viziata e golosa, viveva per mangiare e disprezzava gli animali e chi se ne prendeva cura. Trovò in quel ragazzino il passatempo preferito per riempire i suoi pigri pomeriggi. In uno di quei pomeriggi, dopo aver pronunciato per ore e ore tutte le bestemmie del suo repertorio, si dedicò alle molestie fisiche, picchiettando le orecchie di mio padre. Uno dei colpi ha colpito il nervo, ha irritato la bestia, la rivolta, la rabbia e il risentimento sono esplosi. Si voltò, affrontò il gigante e con gli occhi e il pugno chiusi, colpì il seno destro della ragazza. Ha preso il colpo meno per il dolore, più per la sorpresa e l’umiliazione. Lanciò un urlo seguito da un grido sofferente e ininterrotto, senza lacrime, pieno di rabbia e odio. Forte, così forte che tutti entrarono terrorizzati, immaginando la disgrazia che aveva colpito la loro piccola principessa. Arrivato lì e valutata la situazione, l’adrenalina si era calmata e alleviata dalla bassa gravità, ma profondamente colpita nel suo onore e dignità, fu deciso per una punizione esemplare al principale colpevole della situazione.

È stato un pestaggio epico! Ore e ore di Bungt e Bangt, Bangt e Bungt, dove ognuno in quella casa può esprimere la propria frustrazione. Mio padre ha fatto il possibile per mantenere la sua dignità e il suo orgoglio, come qualsiasi altro ragazzo. Ha pianto, si è scusato e ha implorato perdono a squarciagola. Più colpivo più faceva male, e più colpivo e più urlavo e più faceva male. Credo che nemmeno mio padre abbia mai rubato niente!

Sicuramente tutto quel dolore e quella sofferenza non sarebbero rimasti impuniti e la vendetta è arrivata come una tempesta distruttiva, sotto forma di maiali affamati che razziavano campi di zucche e cetrioli bassi. Distrussero tutto in poco tempo, tanto che non rimase intatta nemmeno una pianta fino all’arrivo di tutti. Il piccolo calcolò l’entità del pestaggio che sarebbe arrivato e tra la morte certa e il freddo della notte in arrivo, con le sue tante ossessionate paure, preferì correre il rischio.

Se fosse tornato indietro lungo la strada sarebbe stato catturato subito. Avrei dovuto affrontare la montagna spaventosa, piena di pericoli, suoni e strane figure. Andava avanti all’infinito, mosso dalla forza di chi lotta per la vita, a ogni colpo, a ogni passo, a ogni soffio d’aria. Andò avanti per ore e ore, affamato, assetato, assonnato e dolorante. Ha scalato ogni montagna e ha raggiunto la cima sotto i primi raggi del sole. Vide il Calore serpeggiare laggiù e ne fu sicuro: era salvo!

Quello stesso giorno, nel pomeriggio, l’uomo e il figlio maggiore bussarono alla porta della casa di mio nonno. Hanno interrogato, offeso e maledetto. Hanno minacciato e giurato vendetta. Mio nonno, impassibile, li ignorò del tutto, voltò loro le spalle e andò incontro al maestro falegname, dove mio padre imparò il mestiere. Un giorno, chissà, con quello, come dicevano da quelle parti, Facceva L’America (Farebbe l’America), e suo figlio guadagnerebbe un sacco di soldi!

E così è stato. Peccato che non sia andato anche a scuola, dove avrebbe imparato la sottile differenza tra Nord e Sud America.

CaMaSa

Roubil

Roubil

Tão logo o mundo se curvou à nossa prodigiosa capacidade tecnológica de criar um sistema eleitoral de urnas infalíveis, demos um passo à frente de todos os sistemas jurídicos nunca antes elaborados na história humana, abolindo o crime de roubo. Esse superestimado sétimo mandamento, escrito a fogo em pedra por Deus, deixou de ser contravenção, da noite para o dia, por força do exemplo vindo de cima, em todo território nacional. O país passou a chamar-se Roubil, pátria de todos os roubileiros!

Graças a Alex, o Supremo, numa única canetada que uniu a elite jurídica, política, financeira, midiática, carcerária e zumbi de todo o país, roubar foi liberado, passando a ser ato tão corriqueiro e normal quanto comer. Irmão rouba de irmão, pai rouba do filho, patrão rouba do funcionário, cliente rouba do empresário, todo mundo rouba de todo mundo. De uma hora para outra milhares de ladrões inocentes, injustamente presos como bandidos, foram descondenados e postos em liberdade. A criminalidade diminui quase que totalmente, havendo até quem argumentasse sobre a inutilidade da polícia nesta nova era. No entanto, apesar de que alas mais radicais queriam inocentar também os assassinos, já que o ato de matar implica em retirar a vida de alguém, manteve-se a condenação pois ao roubar a existência do outro, não acrescia-se o infrator de objeto substancial e concreto. Sequestros eram casos especialíssimos pois ao tomar para si um ente querido, um filho por exemplo, de alguém, era sim o sequestrador beneficiado por um bem materialmente palpável, ainda que se tratasse de um simples ser humano. No entanto, eram raros os casos já que havia sido eliminada a necessidade de exigir resgate, uma vez que não era mais necessário dinheiro para se obter qualquer coisa. Bastava roubar!

Como se pode ver as mentes jurídicas divinamente privilegiadas tiveram muito trabalho para estabelecer essa nova ordem, esse novo Pacto Social. Evidentemente houve resistência. Alguns descontentes, homens e mulheres talhados no ferro e fogo da honestidade, incapazes de um leve furto, uma propina, uma mínima trambicagem, resistiram bravamente a essa onda de pilhagem e picaretagem, mas aos poucos, um a um, iam soçobrando no lodaçal de sacanagem, até que o último bravo, depois de centenas de vezes roubado e humilhado, faminto e sem perspectiva roubou uma maçã do amor de uma criança que a lambia.

O amor, sim o amor estava no ar. Esse período revolucionário era tão intensamente cheio de alegria e esperança, de norte a sul, leste a oeste, os desonestos cantavam e dançavam, pilhavam e saqueavam, destruindo tudo em seu caminho como uma ensandecida nuvem de gafanhotos humanos. Não era só a comida das quitandas, mercearias e supermercados, mas roupas de grife, joias e iPhones, 19, 20 e 21 Pro! Roubava-se gasolina nos postos e, quando não se tinha carro ou moto, roubava-se um veículo. Todos absolutamente felizes e empanturrados até a goela. O próprio Paraíso na Terra…

Mas em pouco tempo os estoques acabaram. O produtor não precisava produzir, mesmo porque se produzisse era roubado. O comerciante não precisava comprar e vender, só precisava ser roubado. Não havia mais energia elétrica, água e esgoto, serviços essenciais e hospitalares. Ninguém mais aprendia pois não havia escolas. Não havia salário! O país rumava a passos firmes para o colapso e, estranhamente, os países vizinhos antes alinhados com os rumos políticos e ideológicos, fecharam suas fronteiras por terra, por mar e por ar. Passaram a perceber o perigo que imigrantes roubileiros, habituados a esses conceitos extravagantemente libertários, representavam para suas populações e, principalmente, à ordem e passividade do povo, que os mantinha encastelados no poder. Por conta disso, um aliado histórico como Cuba reatou com os Estados Unidos, com quem estava rompido desde 1959, em busca de proteção!

Cada vez mais isolado e sem produção alguma, o Roubil em pouco tempo estava entregue às hordas de famintos liderados por facções armadas até os dentes. Os gestores da nova ordem foram sumariamente fuzilados e substituídos por novos líderes que eram imediatamente substituídos por novos líderes mais bem armados, numa sucessão de carnificina que fazia vergonha aos animais mais sanguinários da Terra. O país ficou retalhado em milhares de pequenos feudos em guerra permanente uns contra os outros. Não havia inocência, só dor, terror e morte. O sonho de uma humanidade livre da condenação pelo roubo, inspirada pela grandiosa verdade reveladora de que “roubar um celular para tomar uma cervejinha…” não era crime, precisava, para sobreviver, de sua expansão a todos os continentes, a cada país, cidade e vilarejo da Terra.

Os países vizinhos, apoiados pelas potências mundiais, invadiam avidamente o país, cientes das riquezas naturais disponíveis. Os roubileiros eram presa fácil, desorganizados, destruídos moralmente e abatidos. Argentina, Uruguai e Paraguai meteram-se numa guerra sangrenta, disputando o Sul. Mais uma vez o Paraguai não conseguiu levar suas fronteiras até o Atlântico. Bolívia, Peru, Colômbia e Venezuela partilharam o butim amazônico, enquanto a França tomava todo Norte e Nordeste através da Guiana Francesa. China e Estados Unidos dividiram entre si todo o resto.

Foi tudo muito, muito rápido. Em poucos meses o Roubil foi de um país do futuro ao ostracismo histórico. Porque as Constituições podem ser refeitas e reelaboradas, mal usadas e rasgadas, mas existem Leis naturais que definem a sobrevivência humana na Terra e no Universo, e estas não podem ser subvertidas. O homem não está separado da Natureza senão pelas suas ideias e pensamentos. É parte dela. É ela. 

CaMaSa