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Durante il viaggio in nave verso il Brasile, mio ​​padre conobbe molte persone, provenienti da varie parti del mondo, venute a provare la vita in Sud America. Erano per lo più italiani e spagnoli, ma si potevano trovare anche portoghesi, tedeschi, turchi, greci e russi. Una moderna babele di 15 giorni, dove per alcuni giorni ha regnato uno spirito di cameratismo e collaborazione, imposto dalle condizioni della traversata e dall’impossibilità di sfuggire alla nave in alto mare. Quindi furfanti, di qualsiasi lingua, mantenuti entro i confini della legge di bordo. Gli innocenti, tesi e preoccupati all’inizio, si sono rilassati col passare del tempo e gli splendidi paesaggi hanno sfilato nelle sfumature del profondo blu dell’oceano e del cielo blu infinito.

C’era una specie di pasto per gli strati inferiori dei passeggeri, integrato da ciò che ciascuno portava dalla propria terra nel proprio bagaglio. Erano gli ultimi sapori di un tempo lasciato alle spalle. C’erano anche feste e cene di lusso e abbondanza ai piani superiori, dove i passeggeri facoltosi si divertivano alla presenza del capitano della nave e del suo equipaggio, ma erano separati dagli altri da catene e da guardie ben addestrate.

Tra i compagni di viaggio, mio ​​padre fece amicizia con un loquace siciliano, forte e tarchiato, con i capelli divisi in mezzo, tenuti fermi da una brillante gomma profumata di agrumi. Si chiamava Giuseppe Dalmonti, e la sua abilità con le parole era simile alla sua performance in bicicletta. Aveva fatto più volte il percorso attuale, facendo sempre affari a lui vantaggiosi. Questa volta aveva con sé una bicicletta luccicante, di cui mio padre si è subito innamorato. Tra un viavai e l’altro in coperta, il siciliano prese dalla tasca gli attrezzi più preziosi di mio padre, due camicie, un paio di calze e l’ultimo spicciolo. Gli ultimi sono rimasti anche con l’autista della Ford 46, che ha portato la byke su per la montagna!

Mio padre alloggiava in una pensione in Rua Pamplona, ​​molto vicino all’Avenida Paulista, che a quel tempo, nel 1951, era occupata da bei palazzi. Era un paesaggio bucolico, così pacifico da sembrare quasi rurale, ma era sull’orlo di un vigoroso salto di sviluppo, capace di catapultare la città al rango di città più grande del Sud America in pochi decenni. Una pietra miliare è stata la demolizione del bellissimo Belvedere, per far posto alla costruzione del MASP, il Museo d’Arte di San Paolo, e delle sue linee moderne e ardite, frutto della mente rivoluzionaria e creativa di un’oriundi, Lina Bo Bardi.

Tra gli italiani che hanno approfittato di questa impennata evolutiva c’era Sabbato Minella, mentore e maestro del mestiere di mio padre in patria. La sua falegnameria si trovava nella stessa Pamplona e ha approfittato della vicinanza al MASP per assumere diversi servizi di falegnameria. Le lettere che inviava ad amici e parenti in Italia incoraggiavano molti paesani, che venivano qui con la certezza di trovare un lavoro garantito. Di temperamento forte e autoritario, pretendeva il massimo dai suoi subordinati, dai primi raggi di sole fino al calar della notte, dal lunedì al sabato. Restavano la domenica e le gite in bicicletta lungo il Trianon, dove i più giovani si esercitavano a trottare tra i vicoli del parco. Ma era piccola, e presto ne sarebbe stata inaugurata un’altra molto più grande, adatta alla grandezza della città. Il Parco Ibirapuera, con i suoi imponenti 158 ettari, sarebbe stato inaugurato nel 1954, ma valeva la pena visitarlo durante il periodo di costruzione.

In quello stesso 1954 arrivò in Brasile mio zio Antônio, pittore, incoraggiato dal fratello. Si stabilì nel quartiere Mooca, più precisamente in Rua do Oratório. Circa 8 mesi dopo, la sua bella Rosina, mia zia Rosa, ha fatto il viaggio qui, con miei cugini Cármine e Antonieta. In quel viaggio c’erano anche i genitori ei fratelli di mia zia, che continuarono il loro viaggio verso sud, diretti a Buenos Aires, in Argentina. Abbracci lunghi e stretti separavano mia zia dagli suoi, che doveva scendere da sola le scale della navata, con i suoi due figli. Nel porto di Santos, vedere i suoi parenti partire con la nave gli è costato alcuni anni di vita e di salute. Si è sentita impotente per qualche istante e si è calmata solo quando è stata abbracciata da mio zio. Sfoggiava ancora i capelli ben pettinati all’indietro ei baffi sottili, alla Vincent Price.

Erano il rifugio sicuro di mio padre, lo tenevano lontano dai problemi e dai pericoli di un paese sempre più cosmopolita, disposto a far parte dei progressi e della modernità del dopoguerra. Ma erano lontani, a Mooca, e lui aveva un mondo da conquistare, dallo sperone di Paulista fino al Jardim Europa, dove risiedevano potere e ricchezza. Oltre alle ragazze più belle, con abiti colorati, capelli dal taglio moderno e sigaretta in una mano e bicchiere nell’altra, sedute allegramente nei bar che si estendono lungo i marciapiedi della regione. Ha iniziato a fumare! Poi bere. Divertendosi, come se non avesse impegni e responsabilità, come uno spaesato al mondo, senza famiglia. Come cantava la canzone di Carnevale dell’epoca:

Le acque rotoleranno
Bottiglia piena che non voglio vedere a sinistra
Faccio scorrere la mia mano attraverso il cavatappi, cavatappi,
E bevo fino ad annegare
Le acque rotoleranno…

A mio zio non piaceva quello che vedeva e cercava sempre di consigliare suo fratello. Nonostante fosse più giovane, era più consapevole, sapeva bere e conosceva i propri limiti. Oltre ad essere vegliato da mia zia che, nonostante fosse piccola, era molto energica. Litigavano anche, come litigano i fratelli di fronte ai rischi imminenti a cui è soggetto l’uno o l’altro, ma il vuoto che viveva mio padre in quei giorni non poteva riempirsi solo di consigli e di lavoro. Così, tra le tante passeggiate e carnevali, conobbe diverse ragazze, una di queste Bernarda, che era la compagna di una ricca signora di Jardins. Quello che per lui era un hobby, divenne serio per la ragazza che, illusa, se ne innamorò perdutamente, sognando di sposarsi. Ha anche cercato il parroco della chiesa di São José Operário, per un consiglio e per chiedere informazioni sulle date disponibili per una cerimonia. Il parroco, amico di famiglia, fedele e assiduo collaboratore della santa chiesa, si rivolse alla matriarca per spiegare la situazione e collaborare a quanto fosse necessario. Gli ha chiesto di conoscere in qualche modo il reale stato civile del ragazzo in Italia, con conseguenze molto drammatiche.

Niente che non le avesse già chiarito. Non voleva impegno, solo amicizia e compagnia. Il Carnevale del 1955 si avvicinava e lui aveva altri progetti…

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