Il 23 aprile 1930 Dio portò una forza della natura nel mondo. Raccolse una piccola manciata di elementi abbondanti in tutto il vasto Universo, Carbonio, Idrogeno, Azoto, Calcio, Fosforo e Potassio, aggiunse gocce d’acqua e, dopo 9 mesi di gestazione nel grembo di mia nonna Grazia, presentò al mondo mia madre. La piccola, seconda di quella famiglia, è venuto al mondo a polmoni pieni. Urlava incessantemente, rivaleggiando con i rintocchi delle campane della chiesa principale che, proprio quel giorno, risuonavano nella notte il saluto dei morti, in lode di un cittadino defunto. Tre tocchi acuti: Tééiiiinnn, Tééiiiinnn, Tééiiiinnn…; uno serio, Tóóóuóónnnnn… annunciando al cielo l’arrivo di un’altra anima di Felitto.
Mio nonno Giovanni, uomo colto, lettore dei classici e figura obbligata nel personale amministrativo del comune, registrava lui stesso la sua più giovane con l’espressivo nome Faustina. In quei tempi, di tanta miseria e di un’Italia abbandonata al suo destino nel dopoguerra, dove le funzioni amministrative non garantivano cibo in tavola, lusso e sfarzo solo di nome.
La Prima Grande Guerra aveva infranto l’illusione umana nei centri più ricchi e civilizzati, anche se non potevano immaginare in quel momento l’orrore e la distruzione di massa che la Seconda avrebbe portato. Tuttavia, in quelle regioni sperdute e lontane del Cilento, persistevano le favole e le superstizioni portate dalle ombre della notte e dalle feconde immaginazioni. È così che la piccola Faustina è cresciuta, ascoltando le storie vere confermate dei suoi zii e nonni, nati all’epoca in cui fate e streghe camminavano in mezzo a noi. Tutti lì sapevano che il suo bisnonno materno aveva avuto una vita agiata perché, una volta, quando si imbatté in tre belle ragazze che dormivano nude in riva al fiume, le coprì di paglia, provando compassione per loro, stese lì, punite dal freddo. Erano fate! Improvvisamente si sono svegliati e, riconoscenti, hanno iniziato a chiamare il ragazzo che, spaventato e vergognoso, ha iniziato a correre. Finché uno di loro non gli toccò la spalla e lui, sbilanciato, rotolò giù per un burrone, svegliandosi solo poche ore dopo. Non è mai mancato il cibo in casa sua!
Dal carattere forte e dal cuore estremamente gentile, mia madre correva sempre per gli stretti vicoli di pietra, da una casa all’altra, desiderosa di aiutare gli anziani indeboliti dal tempo e dalla fame, dalla tristezza e dalla solitudine, offrendo una mela, un sorriso, una speranza…
Quando iniziò a frequentare la scuola elementare, l’unica possibile, fu portata a credere in un’Italia fiera e potente, discendente di un impero romano ricco e dominante, capace di costruire un nuovo futuro con ordine e disciplina, amore per la patria, nero magliette e discorsi di grandezza di un piccolo leader, nella statura fisica. A un naufrago non si chiede di preferire il colore della boa, basta che la mantenga sulla linea di superficie.
E tra i sogni di una nazione e la brutale realtà degli uomini, mia madre è arrivata alla seconda guerra mondiale, nel fiore dei suoi nove anni, vivendola cogliendo le cronache che uscivano dalla bocca di chi ci stava dentro e tornò spezzato, di corpo e di anima. Il momento più vicino alla guerra in quella regione fu quando un aereo da combattimento tedesco si schiantò sui campi di ulivi, lasciando solo una bomba disarmata, senza pilota sopravvissuto. Uno zio e due cugini, spinti dall’urgenza della fame, tentarono di smontare il manufatto nella speranza di raccogliere la preziosissima polvere da sparo al suo interno. Sono esplosi con esso attraverso l’aria, avendo i loro corpi raccolti in pezzi per un raggio di 100 metri.
In tempo di guerra, in tempo di pace, la gioventù trova le vie che conducono alle passioni. Innocenti all’inizio, si evolvono in sentimenti travolgenti di quelli capaci di spostare i continenti. Mia madre aveva un certo debole per i deboli e i diseredati e questo, a quel tempo, non mancava. Si è innamorata duramente e intensamente, come fanno tutte le ragazze tra i 9 ei 14 anni. Bastava uno sguardo, una parola dolce, una richiesta di aiuto. C’erano molti Antonio, Francesco e Donato. A tutti rivolgeva pensieri, illusioni e sogni di una vita migliore, con figli, tanti figli e ben pasciuti.
Finché un giorno non si è imbattuta in questo giovane dagli occhi chiari, capelli folti e lo sguardo da attore di cinema, anche se fino ad allora non ci aveva mai messo piede. A pensarci bene, una star del cinema non dovrebbe essere così basso, con le orecchie flosce e una faccia da cane pietoso, ma in qualche modo lui ha acceso in lei una possibilità. Non restava che trovare un modo per avvicinarsi e lei ha trovato una via d’uscita molto creativa. C’era un fosso, un buco nel terreno di 1,50 m, tra un piccolo fienile abbandonato e una stalla per asini, sul sentiero tra la scuola e la sua casa. Il mio futuro padre passava ogni giorno da questo stesso posto per recarsi alla falegnameria dove lavorava come apprendista aiutante. Un caldo pomeriggio d’estate, mia madre lasciò cadere strategicamente uno dei suoi taccuini nel fosso e iniziò a piangere per la sua sfortuna. Mio padre, che era di passaggio, offrì prontamente aiuto. Prima ancora che si chinasse a raccogliere il taccuino, un’infestazione di pulci lo assalì furiosamente, coprendogli le gambe. Mia madre rise mentre mio padre saltava su e giù e si batteva le mani sulle gambe per sbarazzarsi di quei dannati insetti.
Certamente correva molto più veloce di lui, che aveva promesso di ucciderla se l’avesse raggiunta! Ma gli è bastato vederla entrare in casa sua e ha cominciato a girarci sempre più spesso, non per commettere un delitto, ma per iniziare una storia d’amore (?) durata quasi 70 anni. In breve tempo iniziarono a frequentarsi, come allora, con una distanza minima garantita di 3 metri e la compagnia permanente di una madre, un padre, una sorella, una zia, un cugino o quant’altro fosse in grado di impedire più di tanto qualche sembra.
A vederlo così, sembra essere qualcosa di molto romantico e leggero, ma in realtà era un arrangiamento di sopravvivenza. Mio padre cominciò a visitare tutti i giorni la casa dei suoceri, come un ospite a cui viene offerto quel poco che ha e dei panni lavati. Come ricompensa mia madre ebbe il privilegio di tessere di più, cucire di più, lavare, stirare, cucinare e fare tutto quello che già faceva con più intensità. Il suo ragazzo, ora fidanzato e futuro marito, rafforzato e padroneggiato il mestiere, ha aperto un’attività in proprio. Mamma allargò anche i suoi orizzonti, portando sulla testa le assi di legno segate dalla montagna e portate in falegnameria per fabbricare mobili e bare.
La festa nuziale durò 7 giorni e vide invitati tutti i duemila abitanti. Tutti, come sempre, hanno collaborato come hanno potuto, portando uova, latte, grano, carne, olio, vino e frutta… Tutto si è sommato, unito e mescolato, ha sfamato e saziato tutti, che hanno ballato e cantato, augurando agli sposi un felice futuro. Mia madre ci credeva, non immaginando che tra qualche anno avrebbe intrapreso un viaggio di 14 giorni in nave, alla ricerca del marito che l’aveva lasciata con due figlie in braccio, la più piccola delle quali il padre non ha mai visto nascere. Sbarcò nel porto di Santos, in una terra straniera che amava davvero, non con dolci parole dipinte di rose, ma dando il meglio di sé, con sudore, lacrime e sangue.
CaMaSa